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L’ESCALATION DELLA VIOLENZA NELLA REPUBBLICA CENTRAFRICANA 20/11/13

Il tutto è precipitato nella notte tra il 24 e il 25 marzo, quando un gruppo di 2500 mercenari ciadiani e Sudanesi, denominatisi « SELEKA », ALLEANZA in lingua sando, sono entrati in Bangui, la capitale della repubblica centrafricana al comando di uno sconosciuto centrafricano : Michel Ndjiotodjia. Hanno vinto la resistenza, in verità debole dell’esercito centrafricano, sconfitto con armi pesanti un drappello di militari sudafricani che erano dislocati in centrafrica con il compito di formare i quadri dell’esercito locale e fatto fuggire il presidente François Bozize. In realtà le operazioni  di seleka erano iniziate già da tempo, nella zona nord est del paese dove si sono ragruppati e dove si sono fatti riconoscere subito per le loro atrocità : nei villaggi dove erano accampati per vivere approfittavano del bestiame della popolazione, distruggendo scuole per ecuperare legna per fare il fuoco, invadendo i mercati locali razziando e occupando anche alcune missioni.
Dopo questa calata di lanzichenecchi  alcuni giorni dopo il capobanda si è autonominato presidente del paese. Ma subito qualcosa deve essergli andato storto.  I patti erano che questi doveva risarcire ciascuno dei suoi guerrieri di cinque milioni di franche cfa, sui 7620 euro. Ricevuti ? Di fatto nei giorni seguenti i seleka si sono dati al saccheggio di Bangui. Naturalmente condanna verbale di tutte le istituzioni internazionali ; la Francia direttamente dal suo presidente annuncia il suo non intervento ma si limita a difendere i suoi interessi nel paese e a rendere sicuro l’aeroporto di Bangui.

Tutti erano sicuri che si trattasse del solito colpo di stato che periodicamente si sussegue in questo paese, ideato all’interno dell’esercito nazionale e la Francia in particolare affermava di lasciare decidere le cose all’interno del paese e stipulare col vincente accordi appropriati. I capi dei governi dell’Africa centrale non riconoscono il potere di Bangui ma prendono atto della situazione e danno un periodo di tempo di diciotto mesi a questo governo di transizione per calmare la situazione e preparare il paese ad elezioni democratiche.

Intanto i seleka diventano sempre più incontrollabili, nei mesi seguenti da 2500 si moltiplicano e raggiungono, secondo le stime ufficiali sulle 20.000 unità. Nuovi elementi giunti dall’estero : Ciad Sudan e un gran numero di arruolati centrafricani : giovani senza lavoro, senza scrupoli con la prospettiva di guadagni facili con la minaccia di un kalashnicov in mano. Si dissseminano su tutto il paese, spesso al soldo di particolari assetati di vendette per presunti torti subiti. Iniziano così i sopprusi in tutto il paese.  All’est, Bangassou : con la scusa che la chiesa non ha parlato bene di loro assaltano la cattedrale razziano l’episcopio, Bambari, Alindao ; al centro Bossangoae dintorni ; ad ovest Bozum, Bouar. Sono loro che controllano le strade e si sono inventati pedaggi vari da fare pagare a chi circola sulle strade : mezzi e persone : viaggiare diventa un problema e un rischio. Occupano i posti di dogana alle frontiere col Cameroun e riscuotono le tasse di entrata delle merci e delle persone nel paese. Il governo risponde ad ogni tassa imposta con l’annullamento della stessa ma immediatamente ne cerano un’altra con un altra denominazione. La scusa di tutto questo è che loro hanno « liberato il paese ». Non pronunciano una parola nè di sango nè di francese, ma ad ogni tentativo di obbiezione sul loro operato il ritornello : « nous avon liberé le pays »…..boh, di fronte a questa frase col fucile davanti agli occhi chi viaggia si interroga ma non può fare nulla.
Qualche esempio fra tutti, ma è un modello che si è ripetuto centinaia di volte in questi mesi, a cui ho assistito è il caso di Bohong, un villaggio a 70 km da Bouar ad ovest del paese. Di fronte ai sopprusi dei seleka i giovani del villaggio si sono organizzati, hanno teso un’imboscata ad un drappello di seleka e ucciso tra gli altri un colonnello. Questo a metà agosto scorso. Per vendetta i seleka il 18-19 agosto fano irruzione nel villaggio, razziano nelle case, alla missione, all’ospedale, bruciano le case uccidono chi non fa in tempo a scappare. Risultato circa 2500 case bruciate, decine di morti, buttati anche nei pozzi dell’acqua potabile, duemila persone fuggono alla rinfusa a Bouar e gli altri si rifugiano alle loro piantagioni. I genitori non sanno dove sono i figli, le mogli i mariti e ci vorrà del tempo perchè le famiglie si riuniscano. Caritas, Justizia e pace, le ONG si danno da fare per assistere gli sfollati.

Modello di azione ovunque : razzia, risposta esasperata della popolazione locale, vendetta di seleka e interventi umanitario nei limiti del possibile. Dappertutto la gente in preda alla paura si rigugia nelle missioni. Una fonte ufficiale le settimana scorsa dà la ciffra di trentquattro mila rifugiati nella concessione della cattedrale di Bossangoa. Altra tipologia di razzia sono le numerosissime incursioni notturne armate nelle missioni, o presso piccoli commercianti del paese. Nella sola diocesi di Bouar una decina  di casi di « visite notturne » alle missioni, tra cui quella fatta a me nella notte tra il 17 e il 18 ottobre : per due ore la nostra missione è stata devastata dai seleka, minacciando col kalashnicov e portando via tutto quello che trovavano.

Da segnalare qui a Bouar un tentativo di ribellione dei gruppi di autodifesa  auto definitisi « antibalaka » armati di macete e fucili rudimentali di fabbricazione locale, del 26 ottobre, che hanno cercato di assalire i seleka, ma il tutto, vista la disparità di mezzi, è terminato in un bagno di sangue e il rifugiarsi di oltre 5000 persone nelle missioni per più di una settimana.

Intanto le organizzazioni internazionale, L’ONU e i suoi organismi hanno avuto il tempo di rendersi conto dell’ effettiva portata di questa  prestesa « liberazione » del paese da parte dei seleka e si cercano misure da prendere. Mentre le ONG internazionali e nazionali si danno da fare per assistere al meglio le popolazioni alcuni avvenimenti mostrano che il problema seleka e qui li manovra dall’esterno si sta diffondendo anche al di fuori della repubblica centrafricana. Lunedi scorso, 18n novembre un gruppo abbastanza numeroso di seleka ha invaso un villaggio camerunese alla frontiera col centrafrica, l’esercito camerunese si è dispiegato in forza e ha respinto i ribelli indietro ma lasciando sul terreno almeno sette morti. Lo stesso giorno un gruppo armato ha rapito un missionario francese al nord del Cameroun e portato via.
Di certo tutti sono d’accordo sul fatto che la situazione non può più andare avanti così, il pericolo in questo momento è di un genocidio ; la popolazione esasperata si ribella, i seleka sono armati e continuano coi loro sopprusi. A Bangui non passa giorno che non ci siano scontri con morti e feriti.

Qualcuno intravede il pericolo di una contrasto  religiose, visto che i seleka sono di provenienza musulmana e tutti gli assoldati al loro seguito di qui lo sono altrettanto e che nelle varie incursioni e saccheggi non sono toccati i musulmani, ma il resto della popolazione che si identifica in una delle varie chiese cristiane. Le Chiese, cattolica i luterana in particolare, denunciando ogni misfato alle autorità nazionali e internazionali, lavorano molto per acquietare   gli animi e cercare di riunificare il paese sulla base dei principi della costituzione democratica e laica del paese per una connivenza pacifica. Significativo l’intervento dell’arcivescovo di Bangui alla sede iinternazionale dei diritti umani, la sua presenza sui luoghi dei villaggi incendiati per rafforzare gli animi e richiamare alla pace, così come i suoi interventi presso il governo, le associazioni musulmane.

L’ONU, attraverso la voce del suo segretario prevede un intervento definitivo in questa situazione che rischia di degenerare all’interno del paese e fuori. Ecco i termini con cui si esprime sula situazione e le misure da prendere a suo avviso :

“Vi è un urgente bisogno di rispondere alla crisi prima che la situazione si porti fuori controllo e porta ad un maggior numero di vittime, avverte Onu capo, cheinsiste: Abbiamo l’opportunità e la responsabilità, evitare quello che potrebbe diventare atrocità diffuse.
Le tensioni tra le comunità che Ban Ki-moon si è detto molto preoccupato, temendo che porteranno ad una violenza incontrollabile settaria con conseguenze senza precedenti per il paese, sub-regione e oltre.
I compiti prioritari di una forza delle Nazioni Unite sarebbe la protezione della popolazione civile , sostenere il processo e la transizione politica , l’organizzazione di elezioni e la promozione dei diritti umani . Si deve operare con regole solide di impegno , e un mandato ai sensi del capitolo VII, gli permette di usare tutti i mezzi necessari per impedire ai gruppi armati l’ accesso ai centri urbani . Un invio di  personale di circa 6.000 soldati che può raggiungere  9000 , in caso di deterioramento della situazione della sicurezza . Le tensioni tra le comunità di cui  Ban Ki-moon si è detto molto preoccupato , temendo che le conseguenze porterebbero ad una violenza incontrollabile settaria  senza precedenti per il paese ,la  sub – regione e oltre.I compiti prioritari di una forza delle Nazioni Unite sarebbe la protezione della popolazione civile , sostenere il processo e la transizione politica , l’organizzazione di elezioni e la promozione dei diritti umani . Si deve operare con regole solide di impegno , e un mandato ai sensi del capitolo VII, gli permette di usare tutti i mezzi necessari per impedire ai gruppi armati di accesso ai centri urban.Il E’ necessario un invio dipersonale  di circa 6.000 soldati che può raggiungere i 9000 ,in caso di deterioramento della situazione della sicurezza”

(tradotto dal sito: journalde bangui).

Si profila tra le righe di questo intervento tra l’altro l’ombra del terrorismo internazionale.
Beniamino